Santocha, la pace nella contentezza

Santocha, la pace nella contentezza

Continuiamo il nostro viaggio sul filo dei principi etici dello Yoga. Siamo arrivati al secondo dei Niyamas, che si chiama Santocha, la contentezza. Quella sensazione di gioia profonda, di appagamento e di serenità che proviamo quando apprezziamo veramente ciò che abbiamo, ciò che siamo, ciò che la nostra vita ci propone in ogni momento.

Semplice, vero? Come diceva il saggio Tamil Thiruvalluvar centinaia di anni fa, “è così semplice essere felici; è così difficile essere semplici.” Ogni attimo racchiude la possibilità di stare bene, ma inconsapevolmente ci facciamo prendere da desideri per il futuro, insoddisfazione e frustrazione per il passato, e questo ci fa stare nel malessere.

Negli scorsi mesi abbiamo già parlato di apprezzamento con Brahmacharya e Aparigraha, ma qui c’è una sfumatura diversa, passiamo dall’enfasi sul comportamento nei confronti del mondo esterno (Yamas) a una centratura sull’attitudine interiore (Niyamas). Perché tutto ciò che sperimentiamo fuori viene da dentro.

Fa parte della natura umana essere sensibili a quella spinta a volere di più, a non accontentarsi mai, ad agire per ottenere qualcosa che finalmente ci renderà felici. Ma sarà una sensazione effimera e presto sentiremo un’altra spinta, e un’altra ancora, senza mai raggiungere quella felicità vera e duratura che ci manca.

Mettiamoci un attimo a sedere, facciamo qualche bel respiro profondo, ascoltiamo. Quanto sono consapevole della perfezione di ogni momento? Quanto gioisco della mia vita? Quanto di bello e buono ho in questo preciso istante?

Spesso siamo talmente concentrati su tutte quelle cose che non vanno bene, su ciò che vorremmo cambiare, sugli obiettivi che vogliamo raggiungere e sui sogni da realizzare, che non ci accorgiamo della bellezza che già abbiamo a portata di mano. Facendo così, ci muoviamo nel terreno dell’insoddisfazione, della mancanza e della necessità, partiamo da una posizione di svantaggio e di malessere, seppur minimo. Che cosa succederebbe se invece ci fermassimo un momento a guardare nel dettaglio ciò che di bello ci accade? Se apprezzassimo una per una tutte quelle qualità, quelle caratteristiche e quegli aspetti della nostra vita che ci sostengono…

Questo non significa accontentarsi, farsi andare bene tutto così com’è e cadere nella pigrizia o nella rassegnazione. Significa accettare la realtà dei fatti, per quanto scomoda o banale possa essere, e amare ogni piccolo momento di gioia, di gentilezza, di serenità. Viverle, sentircene pieni e contenti. Da qui, sarà più piacevole portare avanti tutte le azioni verso i miglioramenti e la crescita che vogliamo raggiungere. Queste azioni saranno leggere, libere da condizionamenti, distaccate e allineate sia con il nostro essere, sia con i movimenti dell’universo, che non sempre si muove come immaginiamo.

Possiamo applicare queste riflessioni nel contesto materiale, ma anche a livello interiore, emotivo. Quali sono le nostre qualità, i lati del nostro carattere, le nostre capacità mentali, emotive e fisiche? Quanto sappiamo ascoltarci, vederci, apprezzarci e amarci così come siamo? Così, la crescita sarà naturale, fluida, luminosa.

Nella pratica, accettare ciò che il corpo ci permette di fare è una grande sfida. Oggi il corpo avrà una flessibilità, domani magari un’altra e dopodomani sarà ancora diverso. Ma una mente attenta e contenta, non spingerà mai oltre i limiti della propria fisicità. Ascolterà con cura, si fermerà laddove ne sentirà la necessità e ne apprezzerà i benefici. Ogni asana è adattabile a qualsiasi esigenza, se il movimento parte dall’ascolto. Perché non bisogna dimostrare niente, né a sé stessi, né a nessun altro.

Il respiro ci può sempre aiutare per riportare l’attenzione al presente e alle piccole grandi gioie che ci attraversano, alla bellezza di questo meccanismo perfetto che ci permette di vivere. Con la tecnica di Pranayama Kumbhaka abbiamo sperimentato la pienezza di un respiro trattenuto a lungo, la pace di un momento di pausa di apprezzamento, la stabilità e la calma dell’essere.

E così si aprono le porte della gratitudine. Se vuoi seguirmi in questo percorso, ogni sera prima di andare a dormire scegli di prendere un momento di silenzio. Con carta e penna, scrivi almeno 3 cose per cui sei grato. Dopo una settimana, puoi salire a 10 e anche di più. Che sia per te un’avventura piena di gioia come lo è per me e come lo è stato per tanti prima di noi.

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